Snowboard

"In effetti il tuo modo di volare un po’ m’imbarazza, così, con quelle scarpe pesanti, gli abiti super colorati e quel coso che ti porti ai piedi che c’è quando parti, ma è un miracolo se rimane lì fino alla fine. Però capisco la tua scelta di leggerezza, di agilità nel vuoto, una continua ricerca della perfezione. Suppongo che là in quelle frazioni di secondo avvengano, avvengano cose nella testa… si possano capire cose che altrimenti… altrimenti no, o solo raramente… e, comunque, non stando con i piedi per terra. Però hai ragione: ogni tanto bisogna osare, staccarsi, lasciare la sicurezza e andare là dove anche solo esserci richiede coraggio!" Alice limava il discorso, la faccia esposta al sole, gli occhi chiusi.

Un ricciolo di voluta gialla

Il problema è cosa fanno gli occhi. Se si parla camminando o guidando la questione non si pone perché c'è una scusa: guardare dove si sta andando. Ma se si sta seduti, magari uno di fronte all'altro allora, beh, è un casino. Ah, un'altra situazione che libera dall'imbarazzo è mangiare: a tavola gli occhi seguono ora la propria forchetta, ora la mano dell'interlocutore che versa da bere, tutta una declinazione di attenzioni reciproche che con una buona parola si appuntano come un gagliardetto al petto dell'altro, a mo' di ringraziamento. E tutto scorre liscio. Ma non è questa la situazione a cui mi riferisco. Penso a quella difficile,

Homo faber fortunae suae




Titubi* davanti a uno spiraglio di felicità, perché se è vera, se è vera –pensi- non ti deve scappare, aspetti acquattato dietro le tue mille domande e lei ti svolazza attorno leggera e leggera se ne va.

*Titubi: da titubare; significa  essere incerto, indeciso.

Sarà piacere?

gente
"Piacere" dice tendendomi la mano, un sorriso smagliante a n. denti (io non scommetto mai sulle dentature altrui); potrebbe essere l'inizio di un bellissimo e costruttivo rapporto. Invece quella parola m'innervosisce: piacere... eh, è da vedere! Fulmineo il pensiero mi attraversa la mente. La gente che sorride troppo, nella mia città, è sospetta. Chi non è di qui si stupirà, è sicuro, e si chiederà perché. Perché? Facile: è la prova infallibile che si è davanti a un foresto. E con questo termine s'intende anche chi cerca di mimetizzarsi tra i purosangue ma gratta gratta ha la mamma,  il nonno o

Felicità all'istante

Felicità all'istante

Percepire un'emozione di una persona cara, condividere uno stato d'animo lontanissimo come da qui al punto esattamente opposto del globo. Wikipedia: "il diametro medio dello sferoide di riferimento è circa 12.742 km". Ecco; appunto. Una distanza così grande rispetto al mio alluce, rispetto alla lunghezza del mio passo, ai chilometri che posso fare in un giorno a piedi, in bicicletta, a nuoto, in barca, in moto, in auto, in treno...
E in aereo? No, in aereo si può fare, ma ci si mette talmente tanto che quando si è arrivati ci si certo è dimenticati di quando si è partiti, si è praticamente un'altra persona. Insomma, non c'è la sensazione dell'attimo. Invece con la fantasia in un istante io sono là.

A braccetto, se solo potessimo

In una di quelle tante ore in cui le nostre ombre sono più corte di noi, siamo vicine sul muretto di una qualche campagna del nostro entroterra. Di speciale c'è il giorno: un compleanno, un raduno di amici sparpagliati. È la prima volta che c'incontriamo. Io invitata, tu infiltrata oppure il contrario, dato che è chiaro che tu lì sei di casa. Ti guardo e capisco che è un momento raro, la tua vita effimera, fragile e il mio continuo viaggiare mi fanno sospettare che non avremo altre occasioni d'incontro e osservando i tuoi occhioni oblunghi mi accorgo che anche tu lo sai e hai fretta di dichiararmi simpatia incondizionata seduta stante; per questo lasci quello che stavi facendo e aspetti un cenno d'amicizia. Mi sento enorme e mi chiedo se non ti sembro un mostro, invece è chiaro che sei a tuo agio, con una delle tue sei verdi zampette, sollevata a mezz'aria, tra il pensieroso e l'invito a stare a braccetto. Se solo potessimo, se tra noi non ci fosse questa imbarazzante incompatibilità fisica.

Capirsi

 
 
 
Raccolgo le tue parole come il vetro fa con il vapore di un'alitata di una persona giocosa. Quello, senza papille gustative, sa il sapore del tuo fiato, il fiato dei tuoi sospiri non esternati, i sospiri dei tuoi crucci non pensati. Non speri tanto: con un dito scrivi il tuo nome.

Oggetti smarriti


ombre e pieghe dell'anima
Al telefono, le amiche si aggiornano.
"Pronto? Ciao, hai saputo della Simo? Ma sì, la Simona, la mia amica che ha quella testata di ricci! Si, si, lei, proprio lei! Ah, una tragedia! Pensa, era un periodo tranquillo, sereno e guarda cosa le va a capitare: l'altro pomeriggio tornata a casa si è accorta che le era sparita l'anima. Ma no, ma no, non ti prendo in giro! Si lo so che non si era mai sentita questa, ma ti dico che è andata così. Com'è successo? E chi lo sa!?... No, non crede di averla lasciata... eh? Dove? Sul muretto davanti alla scuola di Marta? No no, dice di no, 'che lì si erano scambiate due parole ed era a posto... Mah, chissà, la conosci no?! Certi giorni fa più giri dell'orologio. Eh, già, quindi lo sai tu in quanti posti può averla persa!? Si, se l'ha persa. E quindi cosa ha fatto?!? Beh, ha chiesto all'Ufficio Oggetti Smarriti, ma lì

Dove sei?

qui, qui, qui e poi qui



Su una sedia lanciata a 650 Km/h tra le nuvole e il sole se mi domando: “dove sei?” faccio fatica a rispondermi, ma non c’è che una risposta possibile, per quanto sembri assurda ed è: “Sono qui!”.

Era facile!

indovinala



Un rebus signori, la vita è un rebus. Chi dice un sentiero, chi un cammino. Chi dice un viaggio, chi un sogno. Lasciateli parlare, è come vi dico io: la vita è un rebus, infatti la si capisce solo quando la si è vissuta, digerita e risolta, allora si dice aaah, ecco, era facile!

Tautologie a merenda





La cartina tornasole dell'inizio della primavera è il vetro della finestra: se a una rapida occhiata in controluce appaiono nitide come non mai le gocce delle piogge passate e la polvere ne accentua il disegno allora è ufficialmente finito l'inverno!

Paziente ma non troppo

"Buongiorno dottore!" "Buongiorno, come sta" "Beh, che vuole... se sono qua..." "Mi dica, cosa posso fare per lei" "Eh, per me niente!" "Come… cosa intende dire" "Ecco, se vengo da lei è perché c’è un problema!" "Bene, vediamolo, me ne parli senza timore" "Ma non è mio: il mondo è stitico." Stupore "Si spieghi" "Ecco, si, vede dottore, ci preoccupiamo delle parole che spariscono dal lessico comune, ma il problema non sono le parole, sono i dialoghi, i concetti e, mi lasci dire, i sentimenti: sono questi che spariscono a poco a poco dai discorsi correnti; le parole… le parole non son niente rispetto alla realtà del fenomeno; siamo sempre più immersi in una comunicazione di servizio, una comunicazione tecnica, il meno possibile empatica, emotiva, di pensieri che vadano al di là del contingente e della necessità… si rimanda, si rimanda..." il dottore sorride sotto la pelle, sotto i muscoli facciali e forse anche sotto le ossa tanto è professionale perché il discorso per lui continua con un "si rimanda la cagata", ma non manifesta palesemente nessuna variazione d'espressione, resta in ascolto "e inevitabilmente" continua il paziente "il non detto cresce, come un bubbone, come un tumore, cresce, cresce nel silenzio."

Sette aprile

ricomincia
Era il sette aprile duemilaundici ed era quasi sera quando suonò il campanello della porta, aprii: era un nano o forse un anno, non era chiarissimo, forse intrinsecamente era un refuso fortunato quanto fortuito, ma ditemi voi quando un refuso è calcolato. Comunque erano tre lettere: a, n e o, tre senza e, ché la e fa da congiunzione, poi di n ce n’erano due che fa quattro, ma non so bene se stavano ai fianchi della a oppure in coda… a tutti i modi comunque capii che era un evento straordinario e lo feci entrare, non l’evento, l’altro: anno o nano che fosse. Chiusi subito la porta, caso mai la e dell’evento si fosse fatta empaticamente congiunzione e il vento libero avesse fatto il furbo: era ancora troppo fresco d’inverno per entrare.

Vuoto a perdere


Di tutto il tuo discorso le era rimasta l’ultima parola "Rimasta… -farfugliò rovistando nella borsa- il problema è che mi è rimasto il suo vuoto... si, perché non l’avevo capita. E quando dico capita -pensò- non intendo intesa, compresa, no, non l’ho proprio sentita! -sospirò- ma tu eri così assorbita dal parlare che non me la son sentita di chiederti di ripeterla e così, come per magia quella che sembrava essere la parola chiave del discorso si è portata via tutte le altre iniziando dalle più… come chiamarle? Specifiche? Poi per un attimo qualcosa è riaffiorato ma erano semplici congiunzioni articoli al massimo avverbi o piccoli stralci di frasi del tipo: <<… ma poi…>>, <<… e così...>> e ancora: <<… e tu capisci che…>>". Il discorso come un punto imbastito usciva e rientrava nella sua testa, ritmicamente. Ogni volta che parlava, il volume della voce si alzava un po'. Ormai era udibile ai passanti "<<hanno un bel dire quelli che…>>: espressioni che vengono messe a manciate nei discorsi qualunque di ogni giorno. Ma tu dovevi parlare di qualcosa d’importante, di particolare che ha vibrato nell’aria e per un solo istante." Ragionava così, camminando, e sentiva in maniera netta e chiara tutto il peso di quel "..." lo battezzò "vuoto a perdere", trovò le chiavi di casa, le inserì nella toppa e vi dette un giro. La porta si aprì e il filo dei pensieri svanì in quello stesso istante.

Ospite indesiderato

murder 
"Proprio non ti capisco è un’ora che mi giri attorno. La casa è grande e non c’è nessuno, ma tu niente: mi stai sempre addosso! Mi hai stufato! Dimmi perchè mi ronzi intorno!? Non è per fame o per sete, se no andresti in cucina ché con il disordine che ho lasciato rimedieresti senza troppo cercare un ottimo spuntino e dell’acqua. Se poi mi guardi con quegli occhi tutti neri come il carbone non riesco neanche a capire dove guardi, cosa pensi… o la finisci o t’ammazzo; vabbe’ ora apro la finestra e ti faccio volare fuori." detto fatto e la calma tornò nella stanza.

Un pensiero al mare

come se fosse una persona
"Ogni mattina passo con il treno davanti alla distesa di mare. Mi piace osservarlo e non solo per scoprirne il colore di oggi, piuttosto come si guardano gli occhi di una persona per capirne l’umore, come prendere il sole. Io ogni mattina sto lì davanti, a prendere il mare." la fortunata pendolare costiera credette di scorgere per un attimo negli occhi del suo opaco interlocutore di terra i riflessi delle onde e pensò che due flutti fossero un argomento migliore di un banco di nebbia.

Dubbio certo

"Ho trovato un momento, era seduto sul muretto della stazione ed era matematicamente certo. Certo di cosa? Uh, di qualunque cosa gli si chiedesse: dov’è il nord, quante sono le stagioni, il tempo è bello o brutto? Se non fosse stato che ero già annoiata a morte mi sarei stufata ad ascoltarlo. Invece il suo parlare mi ha catturato. Non passa il tempo a fare niente! Ora che è certo di tutto quello che è, sta studiando il resto, quello che non è; e non quello che non è una cosa perché è già un’altra, ma proprio quello-che-non-è-e-basta. E questo, mi ha spiegato, gli prende molto, molto tempo e con... una specie di pudore mi ha sussurrato che non sa se riuscirà a venirne a capo. Pensandoci bene, neanch'io"... "Ah, mi presento, sono Flora, nel disegno sono quella a sinistra, sono venuta tagliata, ma fa lo stesso"

Impressioni di una nonna



Sorridendo quieta lasci il passo alla vita, ti stringi nelle ossa e sospiri lieve. Passerà l’inverno, passerà il freddo, passerà, ti dici… e aspetti, perché “vivere” è un verbo un po’ forte e forse, pensi, sono troppo vecchia per ricominciare a coniugarlo.

Segretaria automatica


"La signorina elettronica mi disse -Attenda in linea!- , così aspettai. E aspettai ancora. Ferma e muta. E così ferma e così muta che perfino il tempo si fermò per non disturbare la bolla di silenzio che si era venuta a creare. E anche il silenzio si trovò in imbarazzo perché si riconobbe assordante e sguaiato. Aspettai ancora così bene che diventai attendente.

Incontro in chiaro


"Ancora si ripete il piccolo miracolo. Con titubanza inizio a parlarti di questioni impolverate, esistenti solo nella mia e, forse un po’ diverse, nella tua memoria e in quella di pochi altri amici. Tra noi non ci sono solo un bicchiere e una tazza mezzi vuoti, gli avanzi di noccioline e torta salata, ma anche, sospeso a mezz’aria e un po’ appesantito dal silenzio improvviso, tutto quello che dovremmo dirci. E per la prima volta nella vita funziona la domanda “Cosa pensi?” sblocca tutto e ti parlo, con frasi che più che dichiarare suggeriscono. Ma ti basta – e sorridi? -, e forse sorridi, e quella che credevo sarebbe stata una tragedia, si chiude attorno a noi come un’onda del mare, semplicemente un’altra onda. Dopo, mentre ci alziamo e ci avviamo per la strada, mi sembra che tu stia sorridendo ancora, dentro." Tratto dal libro mai scritto "Repertorio delle cose non dette".

CV




"Vivo nell’aria, in una parte infinitesima del tempo pensabile. Mi danno del fenomeno -naturale!- ma in fondo sono molto prevedibile: cado, cado vertiginosamente. Vorrei cogliere l’occasione per sottolineare che, comunque, chiamarmi goccia è oltremodo limitativo." disse tutto d'un fiato Wanda G.

Tempi da bici

Ripidamente svolti strada, una gamba esposta al vento l’altra a fenderlo, inclinata sull’asfalto gli occhi a fessura, lampi di luce abbagliano le immagini confondendole. Viaggio, anche solo di pochi minuti, il tuo è un viaggio fuori da. Il bello è che non ti puoi fermare né puoi afferrare niente: scorri nel tempo e nello spazio e tutto l’intorno ti sfiora la mente, poi freni e precisa ti fermi vicino al palo, leghi la bici e ti riallacci al ritmo lento della vita.